Spesso una macchina fotografica è più di un semplice strumento e le foto diventano libertà immaginata, cercata, sognata tra quattro mura troppo strette ma non abbastanza da soffocare la curiosità.
Un’opportunità di scoprire e di imparare quella offerta dal progetto Scatto Libero, che vuole avvicinare i detenuti del carcere romano di Rebibbia all’arte della fotografia. Cinque incontri per conoscere teoria e grandi fotografi e tanti scatti realizzati all’interno del carcere per esprimere pensieri, messaggi, parole non dette.
“Uno sballo”, per dirla con il detenuto Maurizio C., un’emozione che comincia con un clic e finisce con il sogno di immortalare, un giorno, la propria vita fuori dal carcere. L’idea è di Tania Boazzelli, fotografa professionista che ha fatto della sua passione una vocazione: dare spazio a chi deve scontare una pena che spesso rischia di togliere la speranza. “La fotografia – spiega – mi ha dato la libertà in un momento di grande chiusura e riuscire a farla vivere a persone che avevano il mio stesso bisogno mi ha riempito di serenità e orgoglio”.
Per ognuno un rullino e un assaggio di libertà: quella di scegliere lo scatto più adatto a esprimere le proprie emozioni. Così dalle mura di Rebibbia alle pareti di una mostra un pallone da calcio si alza verso il cielo, due mani afferrano le sbarre bianche, il profilo di un compagno spunta riflesso in una pozzanghera. Dopo il carcere ci saranno altre avventure e altri scatti.
“La foto che avrei voluto fare? La mia libertà, ma la farò”. Parola di Aurelio, detenuto fotografo.
Costanza Ignazzi
giornalista, Il Messaggero